E’ iniziata lunedì 18 aprile la Fashion Revolution Week, la campagna annuale che unisce il più grande movimento mondiale attivista di moda per una settimana all’insegna dell’azione e della consapevolezza.
Quest’anno il tema della campagna è “Money, Fashion, Power”. Tre semplici parole che racchiudono ciò su cui la moda tradizionale si basa: sfruttamento del lavoro e delle risorse naturali. Ricchezza e potere sono concentrati nelle mani di pochi e la crescita e il profitto sono l’unico interesse perseguito. I grandi marchi producono troppo e troppo velocemente, manipolandoci in un ciclo tossico di consumo eccessivo. Conseguentemente, chi realizza i nostri abiti non riceve un salario dignitoso e percepisce già l’impatto della crisi climatica che l’industria della moda alimenta.
Who made my clothes?
Siamo tutti a conoscenza, ormai, del disastroso effetto che la fast fashion produce sul nostro pianeta. L’industria della moda è infatti tra i settori più inquinanti al mondo. E’ sempre più frequente imbatterci nelle immagine del deserto di Atacama, in Cile, tristemente sommerso da colline di abiti gettati; o leggere report sull’inquinamento delle acque prodotto dalle tinture tessili.
Come è facile, anzi facilissimo, assistere alle campagne di Green Washing promosse dalle più grandi catene di fast fashion, le quali promuovono l’utilizzo di tessuti riciclati (in piccole percentuali), o celebrano la propria (falsa) riduzione di emissioni di CO2 prodotte.
Oltre al pianeta, però, chi ci rimette a causa di questa produzione smisurata e incontrollata, sono le lavoratrici e i lavoratori sfruttat* e sottopagat*. Sì, perché se il mondo va incontro al progresso con robot che costruiscono auto, gli abiti che indossiamo tutti i giorni, da quelli più semplici a quelli più elaborati, sono realizzati a mano da esseri umani.
Se qualcun* ha mai prodotto qualcosa con il proprio sudore, sa quanto tempo e cura siano necessari per la sua realizzazione. Tempo e cura che nell’industria della moda, della FAST fashion, non esistono, perché l’unico obiettivo è produrre sempre di più: una quantità insormontabile di abiti da poter vendere nei Paesi Occidentali sotto forma di diverse collezioni. Cosa porta tutto questo? Porta ad una disumanizzazione di chi produce gli abiti, facendoli diventare delle macchine, dei robot, e portandoli allo sfinimento con ore di lavoro sempre maggiori e, ovviamente, sottopagate.
La retribuzione infatti, non sempre raggiunge quello che viene chiamato “salario dignitoso”, un salario che permette di pagare le spese necessarie per sé e la propria famiglia, riuscendo anche a risparmiare qualcosa. Ciò che dovrebbe essere un diritto, alle lavoratrici e ai lavoratori del settore tessile non viene garantito. E chi prova a rendere nota questa ingiustizia riceve intimidazioni, violenze e rischia di perdere il lavoro, essenziale per poter vivere.
Ecco cosa si cela dietro ad una T-shirt o ad un paio di jeans venduto a pochi euro: una lavoratrice sfruttata e sottopagata, un pianeta che si ammala giorno dopo giorno, e un brand di moda che guadagna cifre stellari alle spalle di tutto ciò.
Ecco perché non possiamo parlare di sostenibilità nel settore della moda, senza avere la certezza che chi realizza i nostri abiti abbia un trattamento giusto ed equo.
Cosa posso fare io?
La Fashion Revolution Week, a cui la nostra Cooperativa aderisce da anni, vuole aprirci gli occhi sulle azione che possiamo compiere noi, perché lo abbiamo detto tante volte, noi consumatori abbiamo il potere di cambiare le cose. Le nostre scelte sui consumi indirizzano il cambiamento.
E anche noi vogliamo indirizzarvi verso una moda più sostenibile in tutto e per tutto, e vogliamo darvi alcuni consigli in cui crediamo caldamente:
-Chiediamo, tutt* insieme, alle grandi aziende di rispondere agli appelli di trasparenza, sui produttori dei nostri vestiti. Vogliamo avere la certezza che chi realizza i capi che indossiamo abbia ricevuto un salario dignitoso e possa lavorare in un luogo sicuro, con diritti e condizioni favorevoli.
-Compriamo abiti di brand sostenibili. Nelle nostre botteghe potete trovarne alcuni, come Progetto Quid, Trame di Storie, AltraQualità, la Cooperative Collection On Earth, e tanti altri brand equi e solidali.
-Prendiamoci cura dei nostri abiti, laviamoli con cura, così da poterli utilizzare per più tempo. Cerchiamo anche di ripararli quando possibile, diamogli nuova vita!
-Vestiamo second hand o partecipiamo a Swap Party, scambiamoci vestiti tra amiche e amici.
-E, infine, divulghiamo la consapevolezza che abbiamo acquisito, incamminiamoci tutt* verso una moda equa, giusta e sostenibile!